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venerdì 26 aprile 2013

Archeologia delle idee



http://www.sonic.net/~ckelly/Seekay/pioneers.htm

Viviamo in mondo dominato dal mito autoreferenziale del progresso, che viene divulgato come se fosse un fenomeno a senso unico, perennemente in crescita , di cui l’umanità è spettatrice, più che protagonista. Sono così forti le influenze di questa propaganda operata dai “poteri” della finanza, dell’industria, della scienza, dei media e del marketing che è quasi impossibile spiegare che questo concetto è falso o, quantomeno, tutto da dimostrare.
La crisi della civiltà occidentale sta incrinando l’infallibilità di detto progresso. Servono concetti alternativi dei quali servirsi per imprimere alla società – di cui l’economia è solo una delle dinamiche – una spinta rigeneratrice.
Insieme ad altri , tra questi concetti, ci sono quelli di “rinnovamento” e di “innovazione”. L’aspetto determinante è che essi possono diventare obiettivi che intervengono nella sfera personale -  si alimentano anche di una responsabilità individuale - e che sono in grado - se ben orientati e condivisi da una “massa critica” di soggetti attivi - di assumere dignità di “progresso” quando diventano patrimonio di una fenomenologia collettiva.
L’aspetto più intrigante dell’innovazione si ricollega all’evidenza che la realtà è  una costruzione mentale e la  interpretazione di ciò che è "reale" può giungere a risultati profondamente innovativi anche semplicemente cambiando il punto di vista.
Al secondo anno di studi universitari cambiai casa ed occupai una stanza di un appartamento al centro di Bologna. Era un appartamento enorme (era stato un bordello fino all’avvento della legge che li vietava) ed una stanza era ancora in uso del proprietario, che ci conservava vecchi mobili. Era il 1975.
Percorrendo la mia esistenza su due ruote, venivo da una parentesi motociclistica totalizzante, durata tutto il periodo delle superiori. Con la moto avevo ampliato i miei orizzonti, avevo raggiunto mete “lontane”, ma la cosa che avevo fatto in particolare era stato liberarmi dalle strade asfaltate, buttandomi su qualunque percorso fuoristrada che avevo incontrato. L’ostacolo, il salto, la derapata, insieme ai paesaggi che scoprivo dopo lunghe cavalcate in montagna mi attraevano come il canto delle sirene.
http://www.sonic.net/~ckelly/Seekay/ftf_welcome.htm
Un giorno, soffermandomi davanti all’officina di un ciclista, vidi quella che sarebbe stata la prima bici della mia maturità. Giaceva quasi sommersa sotto una catasta di ruote e di telai e di altra cianfrusaglia, ma la sua conformazione le impediva di scomparire.
Tradotto dal bolognese , il vecchio ciclista dalla faccia paonazza di vino mi disse “Era la bici del garzone del panificio qui all’angolo. Me l’hanno lasciata ma non verranno più a prenderla perché ormai consegnano con un furgoncino. Se la vuoi prendere, te la regalo”.
Non gli detti il tempo di ripensarci e, dopo averlo aiutato a liberarla , uscii con la bici pagata al prezzo di due camere d’aria, due copertoni nuovi ed un unico sorso di vino tracannato insieme a lui  da un bicchiere sporco di grasso.
Una abitudine che avevo e che non ho mai perso era quella di avere con me una cassetta degli attrezzi per cui, portata la bici nella stanza-magazzino del mio appartamento al primo piano, la sera stessa iniziai a studiarla e smontarla per dare senso alla mia intuizione. I due larghi portapacchi , i parafanghi , il paracatena non potevano rimanere al loro posto e sotto questa cortina di ferro si svelò tutto ciò che mi interessava. Lo scheletro lungo e basso , il largo manubrio con i freni a bacchetta, le grosse ruote esprimevano la robustezza della bici che avevo in mente: una bici da fuoristrada!
http://www.sonic.net/~ckelly/Seekay/pioneers.htm
Mi ci vollero due settimane per personalizzarla. Uno spruzzatore per irrorare di insetticida le piante (il famoso “flit”) si prestò a stendere il velo di vernice rosso-Ferrari con cui sostituire il precedente colore paramilitare. Cambiai la sella con una Brooks da passeggio. Le ruote da 24” calzate dai  grossi pneumatici bicolore e l’essenzialità della meccanica a rapporto fisso annunciavano un uso irrituale… lo stesso al quale gli abitanti del centro che mi vedevano sfrecciare sul pavè dissestato - o anche sotto i portici quando pioveva - e saltare i gradini "fuorisella" si abituarono presto.
Fu nella prima metà degli anni ottanta che l’ondata delle mountain bike raggiunse l’Europa. Erano passati circa dieci anni da quando una manica di scavezzacollo Californiani  le aveva testate lungo la famosa discesa in fuoristrada del Repack, nella Marin County , per poi offrire all’umanità un nuovo modo di pensare la bicicletta.

The poster is an example of the underground advertising for Repack races

Poster art by Pete Barrett

Cosa sarebbe accaduto alla mia esistenza ed al gruppo di scalmanati americani se mi fossi iscritto all’Università di San Francisco ed avessi fatto la mia scoperta più o meno insieme a loro?
Il fatto è che io – nella tradizione Italiana più recente - mi sono limitato a realizzare l’innovazione, loro sono stati artefici del progresso. Comunque, tutti noi abbiamo reinterpretato la realtà con gli occhi del nostro tempo e della nostra capacità di interagire con l’ ambiente vitale.


Da allora questa innovazione ha reinventato non solo il mezzo di trasporto, ma la stessa dimensione del sentirsi liberati dal vincolo della strada per spaziare e sentirsi “spaziati”, fino a diventare uno sport olimpico ed uno stile di vita.

http://www.mtnbikehalloffame.com/



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